Si dice che se si vuol fare del bene alle popolazioni sottosviluppate non bisogna elemosinargli il cibo ma insegnargli a cacciare e a coltivare la terra.
Lo stesso dicasi per le infrastrutture e le abitazioni: non ha senso portare dei container o delle scorte di acqua o delle candele, piuttosto far sì che queste persone imparino ad autocostruire il proprio habitat, consono alle proprie esigenze e all’ambiente circostante. Solo così si potrà creare sviluppo senza che il Sud del mondo sia sempre dipendente dall’occidentalizzazione selvaggia, compresi gli investimenti speculativi celati dietro le opere caritatevoli.” [N.d.r.]
Questa premessa introduce tre temi delicati e attuali, ma poco dibattuti, forse perché sottovalutati: l’Autocostruzione, l’Autorecupero ed il Co-housing. Legati tra loro, anche se trattati in maniera differente sia sotto il profilo tecnico che burocratico, Autocostruzione e Autorecupero potrebbero essere un valido sostegno per il settore delle politiche abitative sostenibili, forse più note col termine anglosassone Social Housing (o Housing Sociale).
Del Social Housing fa parte anche il cosiddetto Cohousing, altra forma dell’abitare sostenibile che però principalmente può essere una conseguenza derivata da processi di Autorecupero. In taluni casi il Cohousing sembra aver avuto concretizzazioni che con l’approccio sociale e le finalità del diritto alla casa per tutti (cittadini con redditi troppo bassi, extracomunitari e rifugiati politici che vogliano integrarsi ma che non possono permettersi alloggi con canoni troppo elevati, lavoratori disoccupati che vogliano imparare un mestiere e nel frattempo contribuire a costruirsi un alloggio adeguato alle proprie esigenze nei limiti della propria disponibilità economica etc…) erano fuori target.
Insomma chiamare Co-housing un approccio finalizzato all’abitazione con i servizi e gli spazi in comune per gli abitanti e le loro famiglie è un eufemismo per definire la vita che si fa in masseria in cui vivevano varie famiglie con servizi in comune e dove tutti contribuivano a mantenere vivibili gli spazi comuni e a condividere momenti di vita quotidiana e di lavoro.
Ma è il recupero di immobili dismessi da cui partire per il Cohousing oppure la realizzazione di opere ex novo per questi progetti, indirizzati poi ad un utenza di livello medio-basso o basso.
Ad esempio a Milano vanno di moda le cosiddette “case di ringhiera” mentre in Brianza ed in altre regioni sono gettonatissime le vecchie “case di corte”, ristrutturate per diventare veri e propri condomini, dove la vita scorre attorno alla corte centrale.
Purtroppo i prezzi, nel caso delle “case di corte” si aggira tra i 2.000 ed i 2.500 euro per metro quadrato, mentre per quello che riguarda le “case di ringhiera” nella zona dei navigli Milanesi, il prezzo è di 4.500 Euro per metro quadrato, e a Torino i prezzi si aggirano sui 3.000 euro al metro quadrato. Attualmente nel caso del Cohousing gli acquirenti sono solo il 28% del totale e per il 72% si tratta di abitazioni in affitto, ottime per chi cerca un investimento da mettere a reddito. Inoltre nel 38% dei casi chi le abita ha meno di 32 anni. [Fonte “Il Sole 24 ore”].
Il Cohousing andrebbe osservato non come forma alternativa, di moda, ma come scelta di vita sostenibile economicamente e socialmente affinché fra qualche anno non cada nel dimenticatoio ma anzi possa svilupparsi in futuro.
A Monzuno (Bologna), sull’Appennino Tosco-Emiliano, si è attivato un percorso per la realizzazione di abitazioni in Cohousing. L’idea è partita da un gruppo abbastanza variegato di politici, artisti, tecnici ed intellettuali fra i quali il cantante Francesco Guccini, l’economista Andrea Segré e l’Architetto Pierluigi Cervellati. Un progetto che punta a riqualificare le vecchie case e i borghi delle colline nei dintorni di Monzuno contro i modelli della Villettopoli, imperanti in un’Emilia-Romagna che continua a costruire senza una visione collettiva ed ha 50.000 appartamenti invenduti, una città grande almeno come Imola [Fonte “La Repubblica”].
Il progetto “MonzunoAppennino”, ideato per il Comune di Monzuno da Pierluigi Cervellati e Delisa Merli, è stato presentato nei suoi contenuti attuativi nel Dicembre 2010, durante un convegno che si è tenuto a Vado di Monzuno intitolato “La rigenerazione di un territorio” in cui esponenti del mondo universitario, economico e politico hanno presentato nel dettaglio il progetto che si pone l’obiettivo di perseguire il rilancio economico ed abitativo dell’Appennino Bolognese.
Il convegno, che ha visto l’attenta partecipazione di amministratori, imprenditori e cittadini, ha permesso di approfondire i temi principali del progetto quali la riscoperta dell’abitare insieme, con un Appennino che si propone come modello della città-parco del XXI secolo attraverso il ripopolamento di borghi storici da ristrutturare e affidare a famiglie, giovani coppie, imprese. [Fonte: sito web del Comune di Monzuno].
Gli insediamenti storici dell’Appenino sono di per sé un esempio di Cohousing, forme di coabitazione praticate fin tanto che il territorio è stato parte integrante e qualificante la vita di ciascun componente, fin a quando l’agricoltura è stata una parte importante ma insufficiente dell’economia.
Oggi questa forma di convivenza può tornare di primo piano perché risponde ad esigenze quali il risparmio energetico, la ricerca di nuove forme di energia e il rifiuto dello spreco del territorio, e non per ultima l’esigenza di imparare a socializzare: si tratta di pensare ad una grande città metropolitana in cui l’Appennino svolge il ruolo primario: di parco della città metropolitana.