Tante proposte in Campidoglio, tra housing sociale, cartolarizzazioni ed occupazioni, mentre la situazione rischia di precipitare
Il recente sgombero di un appartamento occupato da una giovane donna e dai suoi figli in uno degli stabili Ater di via Guglielmo Massaia, nel cuore della Garbatella, ha riacceso la questione dell’emergenza abitativa.
Il vecchio assegnatario, che aveva rinunciato all’utilizzo della casa in cambio del versamento illegalmente richiesta all’inquilina, aveva deciso di tornare sui suoi passi, rivendicando l’appartamento. A nulla sono valse le resistenze della famiglia, gli appelli del Presidente del Municipio XI Andrea Catarci e il presidio di Action.
Un quadro difficile, che fotografa una realtà fatta di abitazioni dai costi esorbitanti, su cui è difficile tracciare una formula condivisa che introduca dei correttivi ad un mercato in cui domanda e offerta si incontrano sempre meno.
“Le dichiarazioni della sinistra in merito alla gestione dell’emergenza abitativa a Roma sono tese a confondere le acque nelle nefandezza della passata Amministrazione” ha dichiarato Alfredo Antoniozzi, Assessore Comunale alla Casa, che esprime anche “soddisfazione per l’approvazione del maxiemendamento alla manovra di bilancio che vede realizzate le richieste del mio assessorato, in particolar modo rivolte all’emergenza alloggiativa. È questo un segnale concreto verso l’edilizia residenziale pubblica e dell’autorecupero, che consente, con minor spesa, di incrementare la disponibilità di alloggi ERP”.
Analizzando il maxiemendamento alla manovra di bilancio, si legge chiaramente quale contributo spetta all’autorecupero, citato da Antoniozzi, degli immobili per l’emergenza abitativa: 3,8 milioni di euro. Poco superiore rispetto alla quota destinata all’acquisto di alloggi per l’Edilizia Residenziale Pubblica: 3,4 milioni di euro. A Roma, secondo un’indagine preliminare del 2009 realizzata dal Centro Ricerche Economiche e Sociologiche di Mercato (CRESME), risulta esserci una domanda residenziale pubblica che si attesta intorno ai 52.800 alloggi.
“Tenendo conto di tutti i fattori il numero di alloggi da considerare per la determinazione della nuova domanda di edilizia residenziale pubblica e di housing sociale da realizzare entro il 2016 è stimabile in 25.700 alloggi – si legge sul sito del Comune di Roma – dei quali circa 6000 destinati a ERP”. Si diceva, il quadro, nella sua drammatica emergenza è chiaro. Con 3,4 mln di euro, si arriva a costruire 6000 alloggi? Domanda retorica, gli stanziamenti non sono sufficienti. Ne consegue che devono entrare in gioco altre componenti, per risolvere il problema. “Abbiamo ripreso in mano la dismissione del patrimonio Erp – ha riconosciuto Maurizio Berruti, Delegato del Sindaco all’Emergenza abitativa – Oltre a ciò, stiamo attuando l’housing sociale che, con strumenti innovativi che superano la vecchia 167, porterà ulteriore beneficio alla soluzione del problema abitativo. E tutto ciò lo stiamo facendo nonostante l’infantile tendenza della sinistra integralista e demagogica che continua a produrre fenomeni organizzati che, nell’illegittimità, vogliono risolvere il problema della casa”.
“Ma non si può andare avanti solo con i proclami. L’housing sociale, in questa città, non esiste – commenta Andrea Alzetta, detto Tarzan, Consigliere Comunale di Roma in Action, il progetto aperto alle istanze di partecipazione democratica dei cittadini – Non c’è una casa, per il momento, che sia arrivata con la formula dell’housing sociale. Ci sono tanti programmi di recupero urbanistico, che poi sono regalie ai proprietari di aree che vedono trasformarsi i loro terreni in edificabili. Dopodiché, sul versante degli affitti, poiché non è il Comune, bensì il conduttore, cioè il proprietario, a decidere chi metterci, sono disposto a scommettere che a tali condizioni si sceglierà l’inquilino in base alla capacità di essere solvente, piuttosto che rispetto alla sua condizione socio economica”.
È il caso di ricordare che il Piano Casa del Comune prevede, attraverso due deliberazioni di Giunta, la trasformazione di fabbricati dismessi in appartamenti (n. 222/10) e delle aree non residenziali, in residenziali (n. 221/10). Gli alloggi ricavati da questa politica definita, appunto, housing sociale, saranno affittati a canone concordato per 25 anni a famiglie a basso reddito, studenti fuori sede, immigrati con permesso di soggiorno. Le cosiddette fasce deboli. “Ma la vera questione a Roma non è costruire nuove abitazioni, ma mobilitare il mercato privato delle compravendite e degli affitti – afferma Andrea Catarci – Il Censis stima ci siano 120/130mila case private chiuse ed inutilizzate. Roma, è ancora la città che descriveva il grande Sindaco del passato Giulio Carlo Argan: una città piena di case e di gente senza casa”. Una questione decisamente spinosa, che andrebbe tuttavia affrontata “rendendo sempre più infruttuoso e penalizzante, sul piano della fiscalità, tenere le case chiuse – prosegue Catarci – Anche in considerazione del fatto che, il più delle volte, a tenerle chiuse sono delle grandi proprietà immobiliari perché, così facendo, decidono di lievitare il costo di affitto e di vendita dei loro beni”.
Quali soluzioni si prospettano? Catarci riprende in mano un vecchio cavallo di battaglia più volte sventolato da Francesco Rutelli, quando era primo cittadino: creare un’agenzia degli affitti, con il pubblico quale attore di regolazione e mobilitazione del mercato.
Una soluzione simile viene proposta da Alzetta: “Ci vorrebbe un governo pubblico sia per le case popolari sia sul mercato degli affitti, anche attraverso una politica pubblica degli enti previdenziali, perché, se togliamo questo calmiere al mercato, si scivola in una condizione da legge del più forte, con decine di migliaia di famiglie costrette a vivere il problema dell’emergenza abitativa”. Ma innanzi tutto va rispettato un principio: la casa è un diritto. Eppure dell’Edilizia Residenziale Pubblica godono anche persone con redditi elevati, in altre parole, evasori fiscali. “Il recupero di queste abitazioni dovrebbe essere la normalità. Quando un affittuario muore, l’Amministrazione dovrebbe rientrare in possesso delle cosiddette case di risulta ed assegnarle ad altre persone con dieci punti in graduatoria” prosegue Alzetta. Ma troppo spesso ciò non accade.
Eppure, di rimozione dei vincoli contrattuali, parlano anche esponenti della maggioranza in Campidoglio, come il Presidente della Commissione Sicurezza, Fabrizio Santori, che in un recente comunicato stampa, ha dichiarato “necessario svolgere un’approfondita analisi dei singoli contratti di locazione dei residences di assistenza alloggiativi temporanea, per conoscere se sussistano i presupposti per interpellare l’avvocatura comunale al fine di rimuovere i vincoli contrattuali. Solo così sarà possibili avviare una nuova fase di gestione dell’emergenza abitativa”.
La difficile situazione è sotto gli occhi di tutti, ma lavorare ad una soluzione condivisa di lungo termine, per ora, non sembra la strada scelta. La vendita del patrimonio immobiliare delle varie Fondazioni, ad esempio, non raccoglie ampi consensi. “Le cartolarizzazioni delle case degli enti ex previdenziali, che producano effetti di vendita o affitto, rischiano di trasformare la questione da emergenziale in drammatica – avvisa Catarci – perché c’è il rischio che chi, non potendo acquistare né far fronte ad un affitto più caro, rischierà di ingrossare le fila di quelle 40/50mila richieste di alloggi che, allo stato attuale, sono state calcolate”. E poiché “Siamo in una situazione in cui, dal 2001 ad oggi sono state soltanto 2300 le famiglie sfrattate, con 10 punti in graduatoria (il massimo ndr) ad aver ottenuto una casa – incalza Alzetta – il cittadino, non vedendo sciolto il suo problema dall’Amministrazione, si auto organizza per risolverlo e riesce a garantirsi un diritto, anche in maniera precaria, compiendo un’illegalità”.
L’occupazione. Tanto deprecata dalla maggioranza capitolina, salvo poi sanarla con diverse deliberazioni di Giunta. “Io occupo case da anni – ammette Tarzan, eletto come rappresentante di Roma in Action al Campidoglio – e non l’ho mai fatto se non nei confronti di appartamenti di grandi proprietari privati, ovvero di speculatori. Roma è stata vittima della speculazione della rendita fondiaria ed in qualche modo, le nostre occupazioni, sono una forma di risarcimento della città, una sorta di cappio sociale che la grande proprietà privata deve pagare”.
Cartolarizzazioni, housing sociale, sfratti e occupazioni. Tante possibili soluzioni ad un unico, annoso problema. esploso in quello che, per molti, è il cuore della Roma popolare: la Garbatella.