L’housing sociale in Italia nasce una decina di anni fa in Lombardia
Quando la Fondazione Cariplo, che interveniva sul mercato dell’edilizia popolare con approccio “tradizionale”, ossia con erogazioni a fondo perduto sulla base di bandi, avverte l’inadeguatezza degli strumenti messi in campo che si scontravano con difficoltà oggettive derivanti dalla vastità del territorio dove la fondazione operava e all’elevato fabbisogno di risorse finanziarie tipico del settore immobiliare; fabbisogno tanto elevato da rendere poco significative anche le ingenti risorse che la Fondazione Cariplo era in grado di mettere in gioco. Una situazione che porta alla costituzione di Fondazione Housing Sociale.
“Fondazione Cariplo – dice all’Adnkronos il presidente di Fondazione Housing Sociale Felice Scalvini – aveva un programma di intervento di housing sociale con la formula tradizionale, cioè quella del contributo a fondo perduto per iniziative di 1a e 2a accoglienza. Per quanto fosse un programma piuttosto consistente con alcuni milioni di euro di disponibilità, rapportato ai metri quadri di cui ha necessità un territorio con una popolazione di 10 milioni di abitanti, ci troviamo di fronte alla classica goccia nel mare”.
“Da qui quindi l’idea di studiare modalità che permettessero di essere più incisivi e di uscire dalla logica del contributo a fondo perduto. Da una parte – presegue Scalvini – si utlizza il patrimonio della Fondazione e dall’altra si catalizzano risorse che provengono anche da altri soggetti. Questa è stata la spinta, e la soluzione trovata è stata quella della Fondazione che avesse un ruolo di promozione ed indirizzo, sviluppando un nuovo modo di fare housing sociale, diverso dall’edilizia economica e popolare e da quella pubblica”.
“Fondazione Housing Sociale è una fondazione che non opera direttamente, ma svolge la funzione di un’agenzia di sviluppo. La prima azione fatta – continua Scalvini – è stata quella di creare un fondo immobiliare specializzato, Speciale Abitare Sociale 1, il primo fondo di housing sociale che è stato il prototipo, a cui ha fatto poi seguito la fase di industrializzazione con la creazione del fondo per l’housing sociale di Cassa Depositi e Prestiti che ha pantografato, a livello nazionale, l’esperienza di Abitare Sociale 1”.
“E’ stato creato il sistema integrato dei fondi che è quello che adesso sta prendendo progressivamete quota in tutto il Paese. La Fondazione ha operato all’inizio come sviluppatore del primo fondo e poi come sviluppatore tecnico. Adesso opera su tutto il territorio nazionale a fianco della Cassa Depositi e Prestiti per fare l’assistenza tecnica e la predisposizione di tutte le operazioni che vengono avviate sul territorio”.
“Abbiamo – aggiunge Scalvini -molti contatti con gli enti locali che ci chiamano da tutta Italia, siamo diventati una squadra di tecnici che hanno messo a punto un’idea nuova dell’housing sociale fatto di operazioni integrate cui concorrono attori diversi, dagli enti locali ai finanziatori, le fondazioni locali, i costruttori, le cooperative ed i privati”.
Il meccanismo è sostanzialmente diverso ripetto all’edilizia economica e popolare perché non si lavora con contributi a fondo perduto, ma si mettono in piedi operazioni che hanno un equilibrio economico e finanziario. “Questa – spiega Scalvini – è stata la ragione principale per cui abbiamo individuato il fondo come lo strumento idoneo, perchè costringe ad una disciplina , ad un orizzonte temporale definito sufficientemente lungo per permettere la gestione di operazioni immobiliari”.
Il secondo elemeto su cui si fonta questa tipologia di intervento “è costituito dal fatto che la pubblica amministrazione non è il perno intorno a cui gira tutta l’operazione, ma ne costituisce un elemento che, in concorso con gli altri attori, contribuisce al buon fine dell’operazione. Ed il contributo della pubblica amministrazione può configurarsi nella messa a disposizione di aree in diritto di superficie o rendendo possibile lo sviluppo di volumetrie adatte”.
“Terzo elemento di discontinuità – prosegue Scalvini – ripetto all’edilizia economica e popolare è che l’housing sociale è prevalentemente orientato alla locazione e non alla vendita. In sostanza, abbiamo invertito il tipo di ragionamento: prima si destinavano quote di housing sociale nell’ambito di operazioni immobiliari commerciali, noi invece inseriamo quote di edilizia commerciale in progetti di housing sociale”.
“La nostra idea – spiega ancora – è quella di costruire i presupposti perché chi va a vivere in contesti di housing sociale vada a vivere bene, perché quando si vive bene si preserva la qualità del territorio e delle strutture immobiliari dove si abita. Altrimenti si corre il rischio di creare quartieri dormitorio con perdita di valore pressoché istantanea dal momento in cui vengono rese abitabili, con una difficile tenuta di tutta l’operazione nel lungo periodo”.
La situazione in Italia è completamente diversa tra sud e nord. “Al sud – aggiunge Scalvini – dove c’è da fare i conti con un abusivismo che ha devastato il territorio, si è costruito poco; al nord invece si è costruito tantissimo, non solo appartamenti ma anche strutture di servizi sociali, per attività commerciali o per nuove professioni. Si cerca di dar vita a quartieri dove non solo si viva ma si possa avere il luogo di lavoro. Perché questo è il modo per creare comunità e vivere meglio”.
“La crisi ha colpito anche questo settore, rispetto a quando siamo partiti le operazioni sono più diffcili da montare, in questo momento non c’è disponibilità finanziaria, se infatti la Cassa Depositi e Prestiti interviene fino al 40% nei fondi territoriali, l’altro 60% con conferimenti in natura o con conferimenti finanziari deve essere recuperato sul territorio”.
“Certamente le Fondazioni hanno fatto la loro parte, però in questo momento hanno difficoltà e il dialogo con le banche è molto difficile – spiega – Ed è proprio in questo momento di crisi che il social housing dovrebbe essere visto come un’opportunità per mantenere aperto un volano di attività edilizia sul territorio, con una funzione calmieratrice dei prezzi”.
“Gli attori che partecipano a queste operazioni infatti sanno di poter ricavare la giusta remunerazione per gli investimenti fatti ma nessuno può fare le speculazioni che caratterizzano il mercato immobiliare convenzionale. Noi – conclude – in un primo intervento a Crema abbiamo potuto costruire case in classe A a 1500 euro al metro quadro, con valori di affitto più bassi rispetto ai quelli commerciali. Valori che hanno trasformato la casa da sogno impossibile a desiderio realizzabile”.