A Torino il punto della situazione dell’edilizia popolare con investimenti privati. Nel nostro Paese copre solo il 6% dello stock immobiliare. Un ruolo fondamentale ha la Cassa depositi e prestiti

Il social housing stenta a decollare nel nostro Paese. La costruzione di alloggi «economici» per quella fascia di persone che non ha diritto alla «casa popolare» ma non ha i mezzi per cercare casa a prezzi di mercato, segna il passo.

Non sono i progetti a mancare, semmai risorse e incentivi (soprattutto fiscali) che rendano appetibile l’investimento finanziario ai soggetti privati.

Un punto della situazione è stato fatto nei giorni scorsi a Torino, al Circolo dei Lettori di via Bogino, nel corso della due giorni di «Urban Promo 2012», organizzato da Inu (l’Istituto nazionale di urbanistica) e Urbit attraverso un comitato di cui fanno parte Ance, Acri, Ccp Investimenti Sgr, Compagnia di San Paolo, Federcasa, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Fondazione Housing Sociale, Legacoop abitanti, Regione Piemonte. In particolare il convegno di apertura è stato un utile «outlook» sul disagio abitativo in Italia, con il contributo di molti attori del sistema. È toccato a Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, fotografare numericamente il «social housing» in Italia. Se nell’Unione Europea il «social housing» copre all’incirca il 15 per cento dello stock immobiliare, pari a 34 milioni di unità residenziali, in Italia ricorre all’affitto sociale solo il 6 per cento della popolazione. Nel nostro Paese infatti la percentuale di persone che vivono in case di proprietà (il 70 per cento) è molto più alta che nel resto dell’Ue (64 per cento), mentre significativo è il divario tra quanti in Italia sono costretti a ricorrere all’affitto privato (il 23 per cento) rispetto alla media europea (20). Se poi il confronto è fatto con Paesi paragonabili per dimensioni e popolazione, l’Italia esce ancora peggio: il Francia il «social housing» copre il 17 per cento del mercato immobiliare, in Gran Bretagna il 21 e in Germania addirittura il 30. Solo la Spagna è più indietro di noi, con solo l’1 per cento di immobili a regime sociale.

Tutto questo in uno scenario in cui crollano le compravendite immobiliari (secondo Nomisma l’ultimo dato trimestrale parla di circa 530mila scambi contro gli 840mila del 2005), diminuisce il tasso di risparmio (dal 15 al 12 per cento dal 2008) e le famiglie italiane stanno sempre peggio. Secondo Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, dal 2008 a oggi sono diminuiti sia il reddito disponibile sia la propensione al risparmio delle famiglie, e soprattutto rispetto al periodo pre-crisi è aumentata la diseguaglianza dei redditi: in Italia l’indice apposito è aumentato di 2,5 punti rispetto al 2000 ed è più alto della media europea, visto che si attesta al 31,5 mentre nella Ue è fermo sotto il 30. A questo si aggiunge una diseguaglianza a livello geografico e di origini: le famiglie con stranieri, infatti, hanno a disposizione un reddito di circa undicimila euro inferiore rispetto alle italiane (14mila contro 25mila euro).

Dati allarmanti, che renderebbero oltremodo importante migliorare l’efficienza del complesso sistema di interventi di housing sociale nel nostro Paese. Un ruolo fondamentale in questa ottica dovrebbe averlo la Cassa Depositi e Prestiti, che è il principale attore del Fondo investimenti per l’abitare (Fia), gestito da Cdpi Sgr, che investe in fondi locali immobiliari locali per realizzare case a prezzi accessibili pur se nel mercato privato. Il bilancio di questo sistema integrato è fatto per ora più di ombre che di luci, a causa delle difficoltà a reperire fondi anche per colpa degli scarsi rendimenti dell’investimento. Ostacoli che potrebbero essere rimossi anche grazie all’opera del governo, che secondo l’Ance dovrebbe sostenere i progetti con premialità volumetriche e nelle destinazioni d’uso, messa a disposizione di immobili pubblici, incentivi fiscali e linee di credito ad hoc.