Intervista a Chiara Casotti, cohouser, progettista sociale e presidente di Casematte. “Con la pandemia, le richiesta sono aumentate: non solo anziani, ma anche famiglie intorno ai 40 anni. Ma in Italia lo Stato non investe. E siamo in attesa del riconoscimento delle comunità intenzionali. Cohousing è ottima risposta anche per anziani e persone con disabilità”

 

Cohousing, housing sociale, coabitazioni solidali: sono tanti i modelli di condivisione dell’abitare che, dal Nord Europa, stanno iniziando a diffondersi in Nord Italia e, più faticosamente, nel resto del nostro Paese. E la pandemia ha destato un interesse nuovo verso questa possibilità, che riduce l’isolamento e garantisce la condivisione non solo di spazi, ma anche di tempi e di servizi. Eppure, “continua ad essere ancora un’esperienza di nicchia, che pochi intraprendono, sia per le difficoltà burocratiche e pratiche, sia per una resistenza culturale e, in fondo, una diffusa ignoranza. Avremmo bisogno di mettere a sistema le esperienze positive, raccontarle e mostrarle, perché in tanti capiscano che davvero si può fare. E, secondo me, conviene farlo”. A fare il punto è Chiara Casotti, lei stessa “cohouser” ma anche progettista sociale, attenta studiosa di questo modello, che promuove tramite e associazioni Casematte – di cui è presidente – e CoAbitare e la Rete italiana Cohousing e Abitare collaborativo.

 

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Fonte: difesapopolo.it