Alla ricerca di nuovi modelli che investono nel microcredito o nell’housing sociale creando strade alternative
“I progetti che abbiamo portato avanti in questi anni sono stati, a nostro parere, innovativi. Noi speriamo che possano aprire una strada”. Luciano Balbo, ideatore della Fondazione Oltre nel 2002 e di Oltre Venture nel 2006, negli ultimi dieci anni ha promosso un approccio alla finanza etica che si differenzia sia da quello del no profit che da quello dei fondi etici. Dopo esperienze lavorative importanti nel mondo del Private Equity – fra le varie cose è stato il fondatore di B&S Private Equity nel 1988 – ha deciso di rivolgersi all’area di confine che si pone fra il no profit e l’economia di mercato, promuovendo progetti che spaziano dal microcredito all’housing sociale e ai servizi socio-sanitari.
“La Fondazione Oltre è stata una palestra, un punto di partenza per conoscere il sociale visto, però, come industry nella quale innestare le nostre competenze e la nostra capacità di creare realtà imprenditoriali. Il confronto con le organizzazioni attive in questo mondo ci ha coinvolto molto”.
Il passo successivo è stato la creazione di Oltre Venture nel 2006…
“Siamo partiti con l’idea di inventare qualcosa di intermedio tra il no profit e il mercato puro, di muoverci in un’ottica di “quasi mercato”. All’inizio siamo stati guardati in modo strano dagli operatori del settore, ma chi leggesse il report di novembre di JP Morgan e della Fondazione Rockefeller sugli Impact Investments troverebbe proprio i modelli culturali che ci hanno ispirato in questi anni. Primo fra tutti quello di sostenere degli investimenti che vadano oltre il ritorno finanziario per puntare a un impatto sociale, a un ritorno e a una gestione del rischio in questo più ampio ambito valoriale”.
Oltre Venture è una società in accomandita per azioni (Sapa): gli investitori sono i soci accomandanti che credono nei vostri progetti. E’ una struttura che ricorda il mondo del private equity e in piccolo quello delle sgr, assai diversa dalle realtà del no profit. Come mai questa scelta?
“Oltre Venture è l’unica società di Venture Capital Sociale in Italia: i nostri modelli sono diversi da quelli del mondo no profit. Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro e illuminare il contesto. Negli ultimi 3-4 anni il mondo occidentale ha avviato un percorso di decadenza, le sue maggiori economie sono travagliate da livelli crescenti di debito pubblico che riducono i margini di manovra degli stati. Noi che interpretiamo il no profit come una sorta di outsourcing del pubblico (in quanto in ultima analisi legato alle erogazioni dello stato) proponiamo un percorso diverso che fa invece appello ai crescenti capitali privati. Il modello del private venture capital vuole affiancare il privato ai servizi pubblici portando competenze e proponendo modelli di imprenditorialità a valle. Questo approccio è una delle nostre caratteristiche”.
Imprenditori e finanzieri noti come Ruggero Magnoni si sono legati alla vostra storia. Avete attratto nel tempo nella vostra orbita la Fondazione CRT, i De Agostini, i Seragnoli, gli Zambon, Claudio Sposito. Quanto conta la capacità relazionale nel vostro lavoro?
“Ognuno di noi ha portato con sé la propria storia. Io, ovviamente, ho utilizzato i miei contatti. Il rapporto fiduciario è molto importante, abbiamo creato col tempo una rete di conoscenze e competenze che ci serve anche per trovare le figure adatte alla gestione dei progetti che promuoviamo. Facciamo da incubatori di progetti: un medico o un operatore sociale ci porta un’idea, ci lavoriamo sopra e magari la trasformiamo in un business plan. Il contatto con gli esperti è costante”.
Ma nel finanziamento di progetti a elevato ritorno sociale in cosa vi distinguete dai fondi etici comuni?
“I fondi etici investono con criteri di esclusione nell’ambito delle soluzioni già presenti sul mercato: l’obiettivo è ridurre al minimo gli impatti sociali o ambientali dell’investimento. Noi cerchiamo invece di produrre nuovi modelli. Investendo nel microcredito o nell’housing sociale creiamo delle strade alternative e ci carichiamo di un rischio che altri non gestirebbero. Questo avviene perché siamo convinti che certi bisogni sociali abbiano bisogno di risposte alternative specifiche. Si tratta di un percorso difficile, ma innovativo”.