In forte aumento chi non riesce a pagare l’affitto. «Serve un piano nazionale e l’aiuto dei privati»
Ci sono tremila torinesi che l’anno scorso hanno perso la casa in cui abitavano. E quasi tutti perché non erano più in grado di pagarla. L’anno prima erano stati 2.300, nel 2007 1.600, nel 2006 1.500. Cinque anni fa si veniva sfrattati perché era scaduto il contratto e il proprietario non aveva intenzione di rinnovarlo. Adesso, anno 2011, si viene cacciati di casa perché non si riesce a pagare l’affitto. A volte anche con le maniere forti.
C’è da rabbrividire se si pensa che, dati del ministero dell’Interno, tra le grandi città italiane Torino negli ultimi dieci anni è una delle poche ad aver limitato i danni, senza farsi travolgere dalla slavina dei senza casa. «Negli anni scorsi la città ha utilizzato fondi propri per incrementare il patrimonio di edilizia popolare e moltiplicare le esperienze di social housing», spiega l’assessore alla Casa Elide Tisi. Quei fondi ora sono quasi finiti. E, nel frattempo, Roma ha chiuso i rubinetti, proprio mentre siamo arrivati alla resa dei conti, la crisi toglie il fiato, le famiglie hanno le tasche vuote.
Nel 2006 a Torino 1.622 famiglie sono state sfrattate perché morose. Nel 2010 – dati non ancora definitivi – l’asticella è salita a 2.772. Più 70 per cento in cinque anni. E le stime sul 2011 non lasciano speranze: sarà ancora peggio. Nello stesso arco di tempo si è dimezzato il numero di sfratti per finita locazione: da 465 a 238.
Anno dopo anno è uno stillicidio: dieci anni fa 1.400 sfratti per morosità, poi si è saliti a 1.500, 1.600, 1.900. Quindi l’esplosione: in un solo anno, tra il 2009 e il 2010, si è passati da 1.986 a 2.772. Un balzo cui nessuno ha saputo tenere testa: più 39,5 per cento. La situazione è sfuggita di mano, centinaia di famiglie costrette ad abbandonare il loro alloggio e cercarsi una nuova sistemazione. Nello stesso momento, a Roma, il miliardo e mezzo l’anno per costruire nuove case popolari pattuito da governo e Anci si riduceva a qualche milione di euro. E il fondo per l’aiuto alla locazione – sostenere chi è in difficoltà e affitta sul mercato privato – che solo dieci anni fa aveva in pancia 300 milioni l’anno se ne trovava a disposizione la miseria di 33, destinati a diventare 14 nel 2012.
Una battaglia persa. E pensare che Torino è un modello che il resto d’Italia prova a replicare. Un modello con il fiato corto, stremato dai tagli. La città ha un patrimonio di 18 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ogni anno ne assegna circa 500. Sono tanti e al tempo stesso pochi. Troppo pochi. All’ultimo bando per assegnare alloggi popolari si sono presentate 10 mila famiglie. Era il 2007. Se la città riesce ad assegnare 500 appartamenti l’anno significa che dei 10 mila aventi diritto nella migliore delle ipotesi solo uno su cinque ha ottenuto il suo alloggio. Gli altri non saranno per strada, ma restano pur sempre in attesa. «Negli ultimi 18 mesi sono stati assegnati 862 alloggi di edilizia residenziale pubblica, e 718 contratti a canone convenzionato sono stati stipulati con la mediazione dell’agenzia del Comune», racconta l’assessore Tisi. «In più ci sono i progetti e le soluzioni di social housing. Inoltre, l’anno scorso sono stati resi disponibili per l’affitto convenzionato 200 alloggi tramite le associazioni del volontariato in rete con la Città: Fondazione Operti, gruppi Vincenziani, parrocchie e altri».
Il guaio è che la rete di solidarietà non riesce più a reggere l’urto della crisi. «Servirebbe un piano nazionale», reclama l’Anci, l’associazione dei comuni. «Servirebbe anche l’apporto dei privati», aggiunge Tisi. «Torino ha 40 mila alloggi vuoti. Bisogna trovare un modo per farli fruttare».