L’80% degli anziani vive in un’abitazione troppo grande e non adeguata alle proprie esigenze, ma il 64% non la lascerebbe per una più adatta. Servono nuove strade per affrontare questa transizione delicata

Covid e anziani. Quando se ne parla, si pensa subito alle Rsa. Nelle residenze sanitarie assistenziali, contagi e vittime sono stati numerosi, così come gli appelli per riformare queste strutture. Giusto e comprensibile.
“La vera scommessa, però, è un’altra”, secondo Franca Maino. “La pandemia – prosegue la direttrice del laboratorio Percorsi di secondo welfare – dovrebbe spingerci a creare un sistema integrato, con valide alternative alle Rsa, dove dovrebbe stare il minor numero di persone possibile”. Un obiettivo ambizioso, per raggiungere il quale si deve partire dal tema della casa.
Per Laura Valentini, presidente della comunità familiare Ca’ Nostra di Modena, “la coabitazione e, più in generale, l’abitare sociale sono la chiave di volta per una vecchiaia serena”. Non è l’unica ad esserne convinta. In Italia sono anni che tanti e diversi soggetti promuovo interventi di housing sociale, anche per anziani. I prezzi calmierati, l’attenzione alle fragilità e le relazioni positive tra abitanti, in particolare tra quelli di generazioni differenti, hanno fatto dei progetti di questo tipo una soluzione privilegiata per molti over 65, più o meno autosufficienti. Dal Borgo sostenibile di Figino a Milano, al Paese ritrovato, per malati di Alzheimer a Monza; dalla Cascina Fossata, in periferia a Torino, alla Corte Grande di Canedole nelle campagne mantovane, gli esempi recenti sono numerosi. E mostrano il tentativo di passare dalle sperimentazioni agli interventi strutturali. Proprio in tal senso, a novembre è stato presentato il Comitato nazionale per l’housing sociale. È un organismo che aggrega i soggetti più rappresentativi del settore, per stabilire una strategia comune di lungo termine e migliorare la cooperazione pubblico-privato.

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Fonte: Secondowelfare.it